Il Lago di Castel Gandolfo/Albano

? Al Lago di Castel Gandolfo/Albano con le parole di Friedrich J. L. Meyer.

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Il lago non vi sorprenderà per la sua estensione ma le sue sponde ridenti e pittoresche sapranno attirarvi e trattenervi. L’occhio non può abbracciarne il contorno e scoprirne tutte le bellezze. La sua forma irregolare, la catena di colli che lo circondano e che producono un vino paragonato dagli antichi romani allo stesso Falerno, è interrotta dagli aggetti di grandi masse di roccia. Guardate questo lago nel momento in cui lo hanno sì spesso dipinto Hackert e Moore, il celebre paesista inglese; quando cioè i raggi dorati del sole al tramonto si fondono col colore verdastro delle acque e i vapori azzurri della sera, che si stendono sulla superficie del lago e sulle sue sponde, danno al quadro la tinta più armoniosa. Già cade sulle acque l’ombra della sera che ancora gli ultimi raggi illuminano la sommità delle colline e imporporano la piramide maestosa di Monte Cavo su in alto, in fondo alla scena

Il pane di Genzano

Oggi vogliamo celebrare un prodotto tipico dei Castelli romani: il pane casereccio di Genzano di Roma.

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?️L’antica tradizione agreste di Genzano sopravvive anche nella produzione dell’alimento principe della storia dell’umanità: il pane.
?️Il pane casereccio di Genzano, il primo pane a marchio I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta) in Europa, è prodotto con farina di grano tenero, acqua, lievito naturale e sale; deve la bontà alla qualità degli ingredienti base impiegati, in particolare ai cereali, all’acqua e, sostengono gli abitanti, all’aria della cittadina che lo produce da oltre trecento anni.
?️L’impasto viene fatto lievitare per circa un’ora e successivamente il pane, trasformato in pagnotte e filoni, viene messo a riposare in casse di legno con teli di canapa e spolverato con cruschello o tritello.A questo punto il pane viene posto in ambienti caldi dove subirà un’altra crescita e successivamente sarà cotto al forno alla temperatura di 300°-320° C. che conferirà al pane una crosta consistente di almeno 3 millimetri.
?️Croccante fuori e molto leggero dentro, ha un sapore sapido e un profumo che richiama quello dei granai. La crosta, dal colore marrone scuro, è molto importante perché protegge la mollica e la conserva a lungo soffice e spugnosa. Ricco di fermenti vivi contenuti nel lievito naturale, ottenuto dall’impasto di acqua e farina di panificazioni precedenti e fatto acidificare, non sopporta la conservazione sottovuoto e il contatto con la plastica e, ciò che più conta, grazie a questo lievito, si conserva fresco e fragrante per molti giorni.
?️Si confeziona a forma di pagnotta con “baciatura ai fianchi” o di filoni rotondi e lunghi dal peso che varia da 0,5 a 2,5 Kg.
(Fonte: sito del comune di Genzano di Roma)

Un po’ di storia dei Castelli romani (parte III)

Da fine Settecento ai giorni nostri.

 

81534865_149184189841493_57175132925329408_nNella foto, la Sagra dell’Uva di Marino.

Continuiamo con il racconto della storia dei Castelli romani.

?️️Alla fine del Settecento, i Castelli Romani furono nuovamente sconvolti dalle vicende della guerra di successione napoletana combattuta da austriaci e spagnoli, che si affrontarono nel 1744 nella battaglia di Velletri: un’altra storica battaglia venne combattuta a Velletri circa un secolo dopo, durante la sfortunata vicenda della Repubblica Romana del 1849.
?️Tra 1798 e 1799 i centri castellani furono sconvolti dall’invasione francese e dalla Repubblica Romana (1798-1799), e poi dall’occupazione napoleonica.
Dopo la parentesi della restaurazione pontificia durata fino al 1870, i Castelli furono annessi dal Regno d’Italia ed iniziò un proficuo periodo di sviluppo grazie al potenziamento delle linee ferroviarie (la ferrovia Roma-Frascati e la ferrovia Roma-Velletri erano già state inaugurate da papa Pio IX, mentre la ferrovia Roma-Albano venne completata nel 1889) e a inizio Novecento con la fondazione della Tranvie dei Castelli Romani.
?️L’area si qualificò come meta turistica per le scampagnate dei romani, oltre che come zona residenziale alle porte della Capitale. Durante la seconda guerra mondiale, i centri castellani si trovarono sulla linea di fronte e furono duramente colpiti; soprattutto Velletri e Lanuvio soffrirono i bombardamenti anglo-americani, ma anche Genzano di Roma, Ariccia, Albano Laziale, Marino, Frascati e persino la residenza pontificia di Castel Gandolfo.
?️Dopo la ricostruzione, i cittadini castellani si sono rimboccati le maniche cercando di valorizzare il territorio e i suoi prodotti. Molto importante la tradizione eno-gastronomica che fa da padrone in ambito turistico – culturale.
(Fonte: Wikipedia e I Castelli romani, Laterza, 1993)

Un po’ di storia dei Castelli romani (parte II)

Dalla fine dell’Impero Romano alla prima metà del Settecento.

 

82146630_146646933428552_7645970302974820352_oNella foto Palazzo Sforza Cesarini a Genzano di Roma

 

Continuiamo a raccontarvi (brevemente?) la storia dei Castelli Romani…

?️Dopo la caduta dell’Impero Romano, nell’area dei Colli Albani, iniziarono ad essere costruiti punti fortificati di proprietà di varie famiglie baronali romane, che si evolsero in seguito anche in veri e propri castelli durante l’età medioevale.
?️L’area dei Castelli Romani nel corso del Medioevo è stata territorio di conflitto in quasi tutte le guerre scatenate dal particolarismo dei baroni romani. Nel 1118 probabilmente Albano Laziale venne assediata dai Pierleoni che stavano combattendo contro papa Pasquale II, rifugiatosi in città; Albano venne alla fine distrutta dal popolo romano alla fine del 1167, a causa dell’appoggio dato dagli albanensi all’imperatore Federico Barbarossa nella sua lotta contro papa Alessandro III culminata nella battaglia di Prata Porci, combattuta il 29 maggio 1167 presso Monte Porzio Catone. Nel 1347 Cola di Rienzo assediò gli Orsini a Marino e nel 1379 sotto lo stesso castello si combatteva la battaglia di Marino, tra le milizie francesi fedeli all’antipapa Clemente VII e le milizie italiane fedeli a papa Urbano VI, nel quadro del devastante Scisma d’Occidente.
?️Nel marzo 1436 Albano Laziale, assieme a Castel Gandolfo, Castel Savello ed il Borghetto di Grottaferrata – tutti feudi della famiglia Savelli – fu rasa al suolo dalle milizie pontificie comandate dal cardinale Giovanni Maria Vitelleschi, durante una delle guerre tra papa Eugenio IV e le famiglie baronali romane; nel 1501 venne rasa al suolo Marino, per ordine di papa Alessandro VI in odio ai Colonna; tra il 1526 ed il 1527, in concomitanza con il sacco di Roma ed il transito dei lanzichenecchi, nelle alterne vicende di quel conflitto vennero saccheggiate Marino e Velletri, e Frascati si salvò dal saccheggio lanzichenecco solo grazie alla miracolosa e leggendaria intercessione della Madonna.
?️A partire dalla seconda metà del Cinquecento fino alla seconda metà del Settecento, non si combatterono conflitti armati nell’area castellana: ciò portò i feudatari ad investire nell’abbellimento dei loro feudi e nel miglioramento delle condizioni di vita dei loro vassalli. I Colonna a Marino e Rocca di Papa, i Chigi magistralmente ad Ariccia, gli Sforza – poi Sforza-Cesarini – a Genzano di Roma e Lanuvio, i Borghese e gli Altemps a Monte Porzio Catone e Monte Compatri fecero opere in questo senso, mentre la Camera Apostolica acquisì nuovi feudi – oltre a Frascati e Velletri – grazie all’impoverimento dei Savelli, che furono costretti a vendere Castel Gandolfo, Albano Laziale e Rocca Priora. I Colonna nel corso del Seicento si disfecero dei loro beni nell’area prenestina – inclusa Colonna – vendendoli ai Rospigliosi – poi Rospigliosi Pallavini -, mentre i Frangipane e poi i Braschi ressero le sorti del feudo di Nemi. Nei beni camerari, e soprattutto tra Frascati, Grottaferrata – dunque nell’area più prossima a Roma – sorsero grandi residenza patrizie e cardinalizie come le celebrate ville tuscolane – villa Aldobrandini, villa Torlonia, villa Sora – oltre alla residenza pontificia di Castel Gandolfo.
(Fonte: Wikipedia e AA.VV., Atlante storico-politico del Lazio. Bari, Laterza, 1996)

Un po’ di storia dei Castelli romani (parte I)

 Dal Neolitico all’Impero Romano

Nella foto il Tempio di Giunone Sospita a Lanuvio80522707_145054446921134_6126044482874900480_n
Un territorio così vario come quello dei Colli Albani, ricco di foreste che ospitavano numerosa selvaggina, prati per pascoli, prodotti spontanei del bosco, rigoglioso d’acqua con laghi ed innumerevoli sorgenti, a dominio delle strade di comunicazione con il sud d’Italia non poteva restare troppo a lungo disabitato.
Infatti i primi insediamenti umani stabili si possono far risalire al periodo precedente il Neolitico. Ma le prime popolazioni che hanno lasciato un’impronta importante e documentabile sul territorio si stabilirono intorno all’anno 1000 a. C., quando si formò la civiltà del ferro detta “laziale”, che assunse poi caratteristiche precise con la nascita e lo sviluppo della mitica città di Albalonga.
?I rudi e forti Latini dovettero difendersi da parecchi nemici. D’altronde il possesso di queste terre, vista la posizione strategica del Vulcano Laziale nell’Italia centrale, era vitale, senza contare la bontà del clima e la generosa abbondanza che la natura offriva. Le tribù dei Volsci e degli Equi tentarono più volte di impadronirsi di questo territorio.
?Ma alla fine il popolo dei Romani, al termine del V secolo a. C., risultò vincitore, sottomettendo anche i Latini e restando quindi padrone incontrastato. L’area del Vulcano Laziale venne prescelta da parte di potenti ed illustri personaggi dell’epoca tra i quali Catone, Lucullo, Cicerone, per costruire le proprie ville con annessi giardini dove poter godere tranquillamente gli otia della campagna.
?Tra i più importanti siti di importanza archeologica ricordiamo il complesso dell’antica città di Tuscolo, con il Teatro molto ben conservato risalente al I secolo a. C., i resti del Foro, della cosiddetta Villa di Tiberio e diversi sepolcri. Ad Albano sono ben conservati l’Anfiteatro, il Castrum, il monumento agli Orazi e Curiazi ed i Cisternoni. Notevoli sono anche la Villa di Vitellio ad Ariccia, i ninfei del lago Albano, il tempio di Giunone Sospita a Lanuvio, i resti del tempio di Diana a Nemi, i ruderi della villa degli Antonini a Genzano, e molto altro.
?Anche gli antichi lastricati romani, con il loro tipico basolato sono ben conservati, come l’antica Via Sacra che da Ariccia sale fino a Monte Cavo, l’antico Mons Albanus dove Latini e Romani si recavano al Tempio di Giove (Juppiter Latialis) edificato sulla sua cima per festeggiare le Feriae Latinae.
?Le alture dei Colli Albani seguirono così, nel bene e nel male, le sorti di Roma, adornandosi di ville, teatri e sepolcri nello splendore dell’Impero, e decadendo rapidamente con la fine dello stesso.
(Fonte: http://www.parcocastelliromani.it/)

Ricordi natalizi castellani

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ALBANO

Con questo tempo ad Albano si aggirano anche orsi polari…❄?

La foto è di #elenalanfaloni.

 

 

GENZANO

Magia di luci e presepi infiorati

 

 

NEMI

Serata natalizia

 

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LANUVIO

E ai Castelli, durante le festività, non mancano le rievocazioni natalizie. ?‍♀️ A LANUVIO, l’associazione Civita Folk fa rivivere scene di epifania: tra sacro e profano! ?

Perché si chiamano “Castelli romani”?

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Come ha ricostruito lo storico Giuseppe Tomassetti (1848-1911)*, la denominazione risale al XIV secolo quando molti abitanti di Roma, per sfuggire alle difficoltà economiche e politiche derivanti dalla cattività avignonese, si rifugiarono nei castelli delle famiglie feudali romane dei Savelli (Albano, Ariccia, Castel Gandolfo, Rocca Priora), degli Annibaldi (Grottaferrata, Monte Compatri, Rocca di Papa), degli Orsini (Marino) e dei Colonna (Monte Porzio Catone, Nemi, Colonna, Genzano e Lanuvio).
? * Giuseppe Tomassetti, “Della campagna romana nel medioevo.”, Roma, Reale Società Romana di Storia Patria edit. (Tip. Forzani e C.), 1892.
Foto: visitareroma.info

Il pangiallo della tradizione castellana

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IL PANGIALLO, tradizione culinaria natalizia ancora viva ai Castelli romani. ?
Una pagnotta gialla come l’oro da donare con l’augurio che il sole possa tornare il prima possibile dopo i lunghi mesi d’inverno. Nasce così, quasi duemila anni fa, quello che per anni è stato il dolce natalizio principe della tradizione romana. Il Pangiallo, mai troppo noto fuori dai confini del Lazio, in questi ultimi decenni ha perso posizioni nell’immaginario collettivo in favore di pandoro e panettone. Dalla forma tondeggiante, di colore ambrato, con mandorle e noci, questo dolce era la specialità dei pasticceri romani e il vanto della produzione domestica nei periodi di festa. Sebbene non sia più popolare come una volta, in molti continuano ad essere affezionati ai sapori di quando erano bambini e portano avanti una tradizione che sarebbe davvero un peccato venisse persa. La produzione del Pangiallo resiste soprattutto ai Castelli Romani, dove le pasticcerie che lo vendono godono di grande successo.
STORIA
Il Pangiallo vanta radici antiche come quelle della città in cui è nato. Secondo la leggenda, nella Roma imperiale era usanza, in occasione del solstizio d’inverno, preparare un dolce che per forma e colore ricordasse il sole. La festa del “dies natalis solis invicti” (il natale del sole invincibile), istituita dall’imperatore Aureliano il 25 dicembre, celebrava la rinascita sull’orizzonte del nuovo sole che era simbolicamente morto al solstizio d’inverno. In questa occasione, le mogli dei contadini lo regalavano ai notabili del luogo come buon auspicio. La parte esterna del dolce, di un giallo acceso, portava in casa una luce intensa che richiamava il ritorno della bella stagione. Ancora oggi, tradizione vuole che il Pangiallo venga prodotto in casa per poi essere regalato per le feste natalizie ad amici e parenti. La preparazione tradizionale di questo dolce avviene attraverso l’impasto di frutta secca, miele e cedro candito. Ma non è stato sempre così. Fino a poco tempo fa, le massaie romane sostituivano le costose mandorle e nocciole con i noccioli della frutta estiva (prugne e albicocche) opportunamente essiccati e conservati. Così, osservare l’impasto del pangiallo era un modo per risalire al ceto sociale della famiglia che l’aveva preparato.
LA RICETTA DI 2000 ANNI FA
In un capitolo dedicato ai dolci del “De re coquinaria” di Apicio, noto “chef” dell’antichità, si trova traccia della ricetta del Pangiallo. Nel manuale gastronomico, il cuoco della Roma imperiale consigliava: “mescola nel miele pepato del vino puro, uva passita e della ruta. Unisci a questi ingredienti pinoli, noci e farina d’orzo. Aggiungi le noci raccolte nella città di Avella, tostate e sminuzzate, poi servi in tavola”.
IL GIALLO
Ci sono versioni contrastanti su come debba essere ottenuto il caratteristico colore giallo dello strato superficiale del Pangiallo. Secondo alcuni bastano le spezie dell’impasto che, per reazione al calore del forno, ingialliscono dando al dolce il tradizionale colore ambrato. Per avere un giallo più inteso, altre correnti di pensiero sostengono che sia necessario ricoprire il Pangiallo di uno strato di pastella d’uovo prima della cottura. C’è chi, infine, ritiene necessario aggiungere lo zafferano per dare più colore.
(…)
(Articolo tratto da “La cucina italiana” – Redazione Web, 2015)
?https://bit.ly/2PAqXu5

E VOI COME LO PREPARATE⁉️

Genzano e la sua infiorata

Magnifico esempio di arte effimera che si svolge dal 1778.

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Ci piace parlare di questa manifestazione, conosciuta in tutto il mondo, attraverso le suggestioni che lo scrittore Hans Christian Andersen ha inserito nel suo romanzo “L’improvvisatore” nel 1835, un anno dopo la sua visita.
“Tutta la lunga strada, in leggera salita, era colma di fiori: lo sfondo era azzurro, sembrava che fossero stati saccheggiati tutti i campi e tutti i giardini per potere avere abbastanza fiori dello stesso colore per tutta la strada; ai lati correvano delle lunghe strisce di grandi foglie verdi con tante rose, una accanto all’altra; lo spazio tra di esse era colmo di fiori rosso scuro in modo da formare un grande bordo intorno a tutto il tappeto. Nel mezzo c’erano costellazioni e soli ottenuti mettendo moltissimi fiori gialli dentro sagome a forma di stelle o rotonde, e più fatica avevano richiesto i nomi, composti avvicinando fiore a fiore, foglia a foglia. Il tutto era un tappeto vivente di fiori, un mosaico più ricco di colori di quelli di Pompei…”